1977

Cugine per caso

Mariangela e Lelia, cugine (acquisite), nella casa dei genitori di Lelia a Genova Pegli. Il padre era stato capitano di marina, i saloni erano grandi, il mare non lontano, i cristalli tintinnavano al passaggio degli umani. Entrambe hanno avuto in dono, coltivato e restituito al mondo: Bellezza, Intelligenza, Sensibilità, Simpatia, Passione. Esiste qualcosa di simile nel creato, ma non c’è niente di meglio. Appartengono alla dimensione indicibile dei capolavori.

  • Virginio Briatore

Silvia

Con Silvia, torinese silenziosa e profonda, con cui ci vedevamo sempre in situazioni promisque con altre persone, combinammo infine di vederci da soli  per qualche giorno a casa mia a Finalborgo, alla fine dell’estate mentre mia madre era via. Avere lei ( anziché i poster…) nella mia stanza da studentello giorno e notte mi sembrava un sogno. Il tempo era poco, le cose da dirci tante, le malefiche pettegole vicine di casa sempre all’erta… per cui restammo quasi tutto il tempo a letto! Non l’ho mai più rivista ma le sono ancora grato: è una di quelle storie in cui entrambi stanno bene, nessuno chiede di più, il male non esiste.

  • Virginio Briatore

Anna P.

Sempre sia lodata Anna P. madonna veneta, discendente del Doge!

Per la Pasqua del 1977 con la mia fidanzatina francese Annie siamo partiti per l’isola di Kerso, in quella che allora era la Jugoslavia. Con noi dovevano venire anche R. e la sua fidanzata M. Ma lei non riuscì a venire e quindi R ci raggiunse da solo. Una volta sull’isola, dove c’erano i ciliegi in fiore e scese pure la neve, dove il mare era gelido ma in un punto vi è una sorgente meno fredda, quasi tiepida, che sgorga sulla spiaggia e dove stavamo a casa del mio amico Tullio, la mia bella francesina un po’ confusa decise che il mio amico R. era più interessante di me. Uno dei momenti peggiori della mia vita. Me ne venni via dall’isola da solo, con l’autobus, piangendo come gli agnelli di cui Kerso era popolata.

Mi salvò Anna P. che studiava medicina a Padova e mi disse che mi potevo fermare da lei. Tornò il sole.  Era la fine d’aprile, c’erano i sambuchi che iniziavano a profumare e il Brenta era pieno d’acqua. La sua casetta da studente, che divideva con un’amica, aveva un giardinetto. Si mangiava fuori.  Il suo letto era piccolo. Si poteva stare solo stretti.

A luglio, senza avvertirmi, anche perché io all’epoca di fisso non avevo niente, neppure il telefono, arrivò a casa di mia madre in salita Monte Tabor a Final Borgo, con la sua amica, la sera del mio compleanno. Per fortuna mia madre era via ed io ero lì, semi addormentato perché avevo già festeggiato  la notte prima, sugli scogli di Boccadasse a Genova con una sirena dalla caparezza di  gorgona-medusa!

La sua amica dormì in camera mia e Anna P. ed io nel tinello, sulla moquette cammello, tra il tavolo e la credenza!

Ma il ricordo più bello che ho di lei e dei suoi lunghi capelli castani in quelle poche giornate felici che abbiamo passato assieme, è legato a una  complicità  dell’anno seguente, una sera che pur di vederla mi fermai a dormire a casa dei suoi genitori, dalle parti di Verona. Suo padre era un generale,  cercava di tener la figlia in riga e così mi mise a dormire nella stanza più lontano possibile dalla sua. Ma mentre i genitori stavano preparando la tavola e il padre era già assiso con forchetta e coltello in mano noi andammo di là a fare il mio letto, nella stanza con la porta aperta. Anche sul più bello Anna era bravissima, continuava a parlare, facendo finta di niente, mentre io dallo specchio dell’armadio controllavo che il generale mantenesse la posizione! Ci sedemmo a  tavola felici e rispondemmo educatamente: buon appetito! 

Sempre sia lodata colei che mi ha salvato senza chiedere nulla.

  • Virginio Briatore