1977

La grotta, il castello e le danze

Sono tornato tante volte a Menerbes e per tre estati di fila, 76/77/78, mi sono fermato a lavorare per due/tre mesi. Ho vissuto nelle millenarie grotte dei pastori, che il mio maestro François Leblanc aveva ‘murato’ e rigenerato in abitazione per la sua famiglia, senza acqua corrente né luce, nelle falaise del Louberon, immerse nella natura, introvabili agli estranei. Nel più piccolo e tenero di quegli anfratti - lo studiolo in cui François  scriveva - una solitaria notte di giugno, grazie a una magia messicana, ho viaggiato per mille anni. Ho vissuto nel castelllo (qui fotografato dalla rocca del cimitero abbandonato) appartenuto a Nicolas De Staël, ospite di suo figlio Gustav De Staël ( anche lui pittore, che oggi credo sia curatore del Museo dell’Hotel de Ville a Parigi)  ed è proprio sulla soglia che Elena, approfittando dello scalino, raggiunse per la prima volta la mia bocca.

  • Virginio Briatore
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1976

Chechauen-Morocco

Appena sbarcati dal traghetto a Ceuta con la 2CV facemmo rotta su Chechauen, che i miei amici triestini ritenevano la capitale dell’haschish! Vi arrivammo di notte, in novembre, faceva freddo e la mattina, per la prima volta nella mia vita, mi risvegliai in un altro mondo: jillabà, kefta, garrot, kif, odori, sapori, occhi di kajal.

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Chiare fresche dolci acque

La scoperta della Provenza, del Vaucluse, del Louberon e di Menerbes, uno dei tanti villaggi di pietra. Alla riscoperta di Martine, la donna che mi prese in autostop in Italia e del suo compagno Joel. J’avais les cheveux longue!

  • Virginio Briatore
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Càsba

A Ouarzazate mi sono separato dai compagni di viaggio triestini e dalla nostra mitica 2 Cavalli Furgonetta celeste e improvvisamente mi sono trovato solo, lontano, silente. Non c’erano carte di credito, né telefonini…  solo i soldi per mangiare, pane, frutta e verdura,  prendere una corriera… dormivo nelle case della gente, sulle terrazze, sulle stuoie… nella Càsba alle mie spalle sono rimasto tre gioni e tre notti senza mai uscire… c’era un matrimonio… le stanze davano su ballatoi…  le case erano unite, intrecciate, disarticolate, inanellate un dentro all’altra, c’erano stanze letto e stanze piazza, stanze cucina e stanze da fumo, a tratti sopra la testa spuntavano le stelle… non c’era l’elettricità…  ma l’acqua scorreva nelle ‘bocche’, tutti erano gentili… non ho incontrato nessun altro ‘infedele’ all’interno… dormivo con i loro bambini.… a piano terra c’erano i tintori e poi i tessitori, in un tripudio di colori… rosso fuoco rosso sangue rosso melagrana…  un solo forno con decine di donne che cuocevano i pani…  la festa… la festa… i grandi tamburelli, i fiati… il vortice della danza… gli occhi neri furtivi… fissi… infuocati….  e poi le grandi eccelse porte della Càsba si chiudevano agli estranei e scendeva  la pace, la grande pace della notte, le chiacchere e il fumo dei padri, le ninne nanne delle madri… migliaia di persone, vicine, con poche porte e tante tende da cui filtrava la luce, il sussurro, il sogno.

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