2011

Vita vera

È difficile spiegarlo, ma Pierre ed io sopportiamo i costosi, noiosi, faticosi e banali spostamenti in aereo e i sempre più omogeneizzati, rumorosi e costosi alberghi urbani per trovare infine frammenti di quella che noi chiamiamo la ‘vita vera’.

Una vita con poche finzioni, dove il contadino è nei campi e il pescatore puzza di pesce, ma entrambi sorridono e se tu ti avvicini adagio, a piedi, da solo, sono contenti  di vederti, stupiti, curiosi; e così anche le donne e i bambini. E per il piacere di vederti da vicino e per l’ospitalità cara agli dei ti offrono quel poco che hanno: una noce di cocco, un piatto di riso con i fagioli, una banana, un dolce di zucchero di canna. E tu vedi le loro case povere ma dignitose e scopri la tipica casa cambogiana… su palafitte per avere l’ombra sotto quando c’è il sole e un piano alto all’asciutto per quando il monsone sprigiona la sua benefica forza acquatica.

E vedi il loro pavimento di legno consumato dai piedi scalzi, accogliente come il letto grande con la zanzariera, messo tra due finestrelle dalle semplici persiane di foglie di palma intrecciate. E ti viene voglia di fermarti per un po’ in quella casa, nella pace di una campagna prospera e sorridente, con i bambini che vanno a scuola a piedi sugli argini delle risaie o fanno volare aquiloni di giunco e nylon.

E invece ti tocca venire via, risalire sul tuc-tuc, stupendo e ideale mezzo di trasporto, calesse trainato da una motoretta, geniale tre ruote confortevole a arioso da cui si gode piena visione del mondo, ad una velocità lenta,  giusta e non pericolosa. Fermarsi poi ad assistere al montaggio di un luna park di latta in compagnia di 3 monaci adolescenti, presso pagode festanti, addobbate con striscie di carta e campanelle, mentre vecchi preparano offerte votive per il Buddha e i suoi amici, con barchette di foglie che portano sigarette ai defunti. E infine stendersi in un Salone di Bellezza ai bordi della strada, godere di un massaggio sublime dietro una tenda d’oro e disdegnare il prelibato fritto misto di ragni, scarafaggi e scorpioni che accompagnano la bionda birra  tenuta in fresco tra barre di ghiaccio arrivate da chissà dove.

  • Virginio Briatore
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I Templi

Il viaggiatore coltivato va in Cambogia prevalentemente per vedere i templi. Il problema è che ci va anche il viaggiatore incolto.  Orde di cinesi vengono a passare delle mini vacanze premio di due o tre giorni nella vicina Cambogia, dove finalmente anche la nuova classe media del dragone si sente ricca e superiore. I secondi per numero sono i coreani, poi gli ordinati giapponesi che si muovono sempre in gruppo, poi gli americani, gli australiani, gli europei.

 

Insomma riuscire a vedere un tempio in pace non è facile. Bisogna prendersi il tempo di infilarsi fra un’infornata e l’altra di turisti.  Più o meno come ai musei vaticani, Questo vale soprattutto per i templi principali di Angkor:  il Bayon, il Banteay Srei ed il leggendario Angkor Wat, che è il simbolo  della Cambogia e l’epicentro della civiltà Kmer. Per fortuna ci sono tanti templi  ‘secondari’ sparsi nell’area o anche altrove. Noi per andare ad Angkor abbiamo affittato un taxi dalla capitale, così abbiamo fatto alcune deviazioni per vedere dei templi minori ( i primi nella foto), andarci a bere un cocco in qualche paesino fuori rotta  e alla sera siamo arrivati a Siam Rep, con la equilibrata spesa di 100 dollari in due. Siam Rep è una cittadina piacevole, attraversata da un fiume lento che è quello che ha dato vita alla città odierna e all’antica capitale. Ci sono rimasti nel cuore le cene in una grande piazza, sotto gli alberi, con ragazzi e ragazze che ti  servono e ti cucinano il cibo davanti agli occhi, sempre efficienti, sorridenti, predisposti alla risata e all’amicizia.

 

I templi sono bellissimi e sul web se ne parla all’infinito. Niente e nessuno però riuscirà mai a spiegare la follia sapiente del Bayon, qui nelle ultime foto: una foresta labirinto di pietra con circa 35 pinnacoli e 200 grandi volti scolpiti che osservano il mondo in ogni direzione e incrociano il tuo sguardo in mille modi diversi, lasciandoti stupito, smarrito, sollevato dallo sforzo di capire e al tempo stesso impietosito dal mistero dell’esistenza.

  • Virginio Briatore
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    templi

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L’architetto infinito

Sulla collina a un paio di km dal mare di Kep un artigiano da 12 anni costruisce il suo villaggio  per turisti. Il cantiere è infinito e, cemento e tubi a parte, è tutto portato avanti con materiale locale: pietre, legno, coppi, ceramiche, vetri, conchiglie, bambù etc.

Quando infine sono riuscito a parlargli ho capito che è un vero architetto pazzo: disegna tutto nella sua mente e crea accostamenti sorprendenti con  i materiali che ha a disposizione. Ha comprato questo terreno una quindicina di anni fa da ragazzo e da allora ha circa una mezza dozzina di  operai e giardinieri in servizio permanente. 

 

Per non disturbare gli ospiti impedisce loro di usare il martello e gli strumenti elettrici…x cui le pietre sono tutte messe così come sono, non sgrossate o tagliate, mentre le assi di legno sono pretagliate in varie misure e poi si cerca di adattarle. Circa 30 camere in bungalow immersi tra gli alberi. Noi abbiamo la stanza più grande, quella nella casa più in alto  dove ci sono tre camere con un a cucina e una stupenda terrazza in comune. La balaustra di legno della terrazza è profonda 50cm e di fatto è un fantastico tavolo appoggiato verso l’orizzonte, perfetto per scrivere, mangiare, prendersi un caffè!

 

L’architetto ha due figli e una moglie che vivono con lui, mi porta a vedere il suo bungalow, quello con un quadro di pietre in camera, che ora trasformerà per i turisti, mentre lui si ritira 100 metri più sopra in un altro delirio in costruzione fatto di ponti, falde, spioventi, grondaie, tegole, terrapieni, terrazze, banani, orchidee, manghi, piante e fiori che crescono in ogni dove.

 

Un mito vero. Un grande … solitario, felice e appartato, difficile da incontrare. Il proprietario geniale, qui ritratto mentre nelel ultime foto prima del tramonto, mi spiega qualcosa sbucando da una finestra della Veranda di Kep: il belvedere più bello del circondario, non a caso quasi sempre sold out.

2009

Casa sugli alberi

Le immagini raccontano casa sugli alberi dove a metà maggio ci siamo rifugiati tre notti e tre giorni col mio amico Pierre a contemplare la natura, raccontarci la vita e farci due risate. Lì vicino c’è il paese di Tenda, che sembra uscito dalle montagne yemenite, con il cimitero che lo sovrasta e che sembra la città dei vivi in miniatura. Il Roja è un fiume bellissimo e nonostante tutti gli ominidi che lo inzaccherano e tutte le centrali elettriche che lo captano per sottrargli l’energia…ne conserva abbastanza da arrivare limpido alla foce.

  • Virginio Briatore
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Il cemento e la rosa

È un paese millenario ma si vive già nel futuro. Il treno alta velocità Shinkansen è in funzione dal 1964, sulla tratta Tokyo-Osaka ne parte uno ogni tre minuti, a fine 2008 aveva trasportato 6 miliardi di persone senza neanche un incidente mortale. È la società alveare, in cui tutto funziona a meraviglia  e ogni ape ha il suo miele. Con la Vecchia Europa ha molto in comune: culture e tradizioni antiche, cibo ed estetica raffinatissimi, passione per moda e design, aspettativa di vita massima, natalità minima, popolazione vecchia. 

In comune vi sono anche reparti industriali ed artigiani di grande fattura e responsabilità etica, che vengono messi in crisi dalla globalizzazione, dalle copie e dalle economie dove i lavoratori sono trattati come schiavi.  

Però bisogna avere il coraggio di ammettere una verità: in Giappone la bellezza si fa rara, il brutto dilaga!

Certo anche in Europa, in particolare in Italia e sulle coste mediterranee di Francia e Spagna, negli ultimi 50 anni abbiamo assistito allo sfacelo del territorio, al moltiplicarsi di infinite metastasi pseudoindustriali o turistiche, al proliferare di funghi allucinogeni a luce artificiale che altri chiamano centri commerciali, però in Giappone sembra siano riusciti a fare un loro particolare disastro. Ovunque ti giri è una colata di cemento senza anima e a noi che camminiamo nei centri storici di Roma e Lisbona, di Salamanca e Avignone, di Praga e Amsterdam tutte queste strade di vetri, matallo, cemento e negozi sembrano la stessa brutta strada! Certo vi sono strade ricche con negozi ben disegnati, ristoranti con legni, pietre fontane e luci impeccabili, certo tutto è pulito e ogni negozio, museo, albergo ha all’ingresso botticine di gel trasparente onde disinfettarsi le mani (per non portare dentro i germi del mondo o per non portate nel mondo i germi di ambienti chiusi e non respiranti?) Tutto è efficiente come noi ce lo sogniamo, ma se anche in una cittadina di provincia, di una Nazione che ama il tabacco, fumare una sigaretta per strada è un reato ti domandi che vita è?

Ciò che più ha impressionato chi scrive sono stati le migliaia di uffici nelle giornate piovose e nelle precoci sere d’autunno visti in centro, in periferia e ovunque, dal metrò, dallo skytrain, dall’autobus, dal taxi, a piedi. Orbene tutti gli uffici visti erano illuminati nello stesso insulso modo: degli apparecchi rettangolari incassati a soffitto, emettenti una luce biancatra, efficiente e spettrale. Possibile che a nessuno venga voglia di mettersi una piantana, un paralume di stoffa, una applique di vetro? Insomma di  lavorare sotto una calda, umanissima luce, dimmerabile e personalizzata?

Eppure il Giappone è terra di profonde tradizioni artigiane e di piccole industrie meravigliose che conoscono la preziosità del tempo, il valore della cura, la magia di un dettaglio inimitabile. In fondo a sparuti giardine zen, circondati da abnormi caseggiati e magazzini, mani gentili ancora riescono a far crescere una rosa rossa! Nell’ansia del nuovo che sembra sedurre molte società asiatiche, qualcosa si muove e un pugno di figure semi-eroiche lotta contro l’obsolescenza precoce di auto e TV al plasma cercando di traghettare nel futuro le meraviglie del passato.

Nella città di Imabari la presenza del porto e di un retroterra ricco di acque pure e di tradizioni termali ha favorito nell’800 la nascita dell’industria tessile, specializzatasi nella produzione di asciugamani. Sono teli da bagno caratterizzati da morbidezza e assorbimento superiori, grazie all’uso del migliore cotone a fibra lunga, proveniente spesso da coltivazione organica. Per andare a posizionarsi sui mercati in grado di apprezzare e pagare un prodotto di alta qualità, le 20 migliori aziende della zona ( tra cui spiccano Shikoku, Murakami, Contex e Maruei ) le quali complessivamente sviluppano un fatturato di circa 400milioni di euro, si sono riunite sotto il marchio Imabari Towel, progettato e coordinato dal bravo grafico ed art directot Kashiwa Sato. 

Sul mare di Tsu e Suzuka, vicino al celebre tempio di Ise Jingu, il più importante santuario Shintoista del Giappone, da 600 anni le mani di grandi artigiani perforano e incidono una speciale carta con la tecnica del katagami. Un tempo questa carta perforata veniva usata per ’serigrafare’ i tessuti dei kimono. Ora che il kimono va in soffitta si propongono di utilizzarla anche per fare lampade, imprimere borse o giacche,  e quindi per la prima volta un giovane collezionista coraggioso, Masaaki Okoshi, amante del design, ma non privo di senso della storia, presenta all’edizione 2010 di Maison&Object una serie, anche riproducibile, dei migliori fogli di Katagami. 

Coll’ausilio del design alcuni imprenditori coraggiosi cercano di dare nuovi sbocchi al frutto di antichi saperi. Nel frattempo gli artigiani sono tutti vecchi, le autorità hanno una vetusta visione del progresso e per una scuola di giovani artigiani non riescono a trovare un piccolo budget! Ma uscendo da un bagno caldo, di cui il Giappone è maestro, cos’altro ci serve se non un morbido asciugamano e una bella luce che passa tra i fori di carta del katagami mentre beati sorseggiamo il the?

  • Virginio Briatore
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